Perché non funziona la medicina di prevenzione

“Il Piano nazionale della prevenzione (Pnp) 2020-2025 in teoria è un ottimo documento, peccato non ci siano controlli e ogni regione, anzi, quasi ogni azienda sanitaria, vada per conto suo”, allarga le braccia Roberta Siliquini, presidente della Società italiana di Igiene, Medicina preventiva e Sanità pubblica (Siti).

Purtroppo la prevenzione, che vuol dire in sostanza educazione sanitaria e cicli vaccinali per prevenire l’insorgenza della malattia e diagnosi precoce attraverso lo strumento principe dello screening, soffre di un problema insuperabile: produce risultati a lunga distanza. “Se il Servizio sanitario nazionale (Ssn) investe in una nuova macchina per la Tac il beneficio è immediato; la prevenzione su individui in teoria sani, invece, è un investimento che rende pochissimo, per certi versi antipatico per chi deve sottoporvisi. Dunque, non è spendibile politicamente”, ragiona Francesco Vitale, professore di Igiene e Medicina preventiva all’università di Palermo.

Polizza futura

Eppure, per capirne l’importanza bastano pochi dati. Ad esempio “è scientificamente dimostrato che il 40% di patologie a grande incidenza, come i tumori e le malattie cardiovascolari e cerebrovascolari, può essere evitato grazie all’adozione di stili di vita sani”, ricorda il Forum delle società scientifiche dei clinici ospedalieri e universitari italiani in una lettera-appello dello scorso aprile a difesa del nostro Ssn. E ancora. “In base agli studi più accreditati, la leva di un euro speso in prevenzione rende dai 4 ai 12 euro di guadagno per l’intero sistema sanitario”, calcola Siliquini.

Ridurre la mortalità della popolazione, e fare ammalare meno persone il più tardi possibile, dovrebbe essere una delle funzioni centrali della nostra sanità. “Invece l’area della prevenzione è il punto più debole in termini di garanzia e accesso alle prestazioni di tutto il Ssn”, ammette Tonino Aceti, presidente del Think Tank Salutequità. Prendiamo il monitoraggio dei Lea (Livelli Essenziali di Assistenza), report del Ministero datato giugno 2024 su dati 2022 (i più recenti a disposizione). “Ben 7 regioni (Valle d’Aosta, Provincia autonoma di Bolzano, Abruzzo, Molise, Calabria, Sicilia e Sardegna) sono inadempienti sulla prevenzione: vaccinazioni, accesso agli screening e stili di vita”, continua Aceti. “E parliamo di valori in peggioramento: nel 2021 le regioni inadempienti erano ‘solo’ quattro.”

Più in generale, la percentuale media di cittadini italiani che aderiscono agli screening oncologici sono pari al 40% per la mammografia e il Pap Test/Hpv test e inferiori al 30% per lo screening colorettale mentre l’Unione europea chiede a tutti i paesi membri di raggiungere, entro il 2025, il livello del 90% di adesione per tutti e tre i programmi.

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