“Vieni che ti faccio fare un viaggio in Centroamerica…”, mi dice Rosolino Palazzolo mentre entriamo nella sua serra di Terrasini, ai piedi del Monte Palmeto, pochi chilometri dall’aeroporto Falcone Borsellino di Palermo. “Siamo nel pieno della raccolta del mango: assaggiane un po’, la qualità è ottima.”
Nella grande serra di Rosolino ci sono banani, alberi di papaya e piante di caffè. I manghi che mi fa gustare, invece, li coltiva in una tenuta vicino.
L’Orto di Rosolino, questo il nome della sua azienda, si estende per 12-13 ettari di coltivazioni tra ortofrutta tradizionale e le nuove varietà tropicali. La maggior parte di proprietà (ereditati dal padre); una quota in affitto.
Anche l’umidità, e le zanzare sotto i vetri della serra, sono le stesse del Centroamerica!
Tropicale che passione
Negli ultimi anni in Italia, secondo i dati forniti da Coldiretti, si sono moltiplicati gli ettari coltivati a frutta tropicale, arrivando a oltre mille tra Sicilia (che da sola ne fa circa 500), Puglia e Calabria dove sempre più spesso si avviano vere e proprie piantagioni di frutta originaria dell’Asia e dell’America Latina: banane, mango, avocado, lime, frutto della passione, anona, feijoa, zapote nero (simile al cachi, di origine messicana) e litchi (piccolo frutto cinese che ricorda l’uva moscato).
Tutte coltivazioni che piano piano stanno modificando i comportamenti di consumo degli italiani (mango e avocado sono entrati nel paniere Istat) ma anche le scelte produttive delle stesse aziende agricole, spesso guidate da giovani imprenditori che hanno scelto di recuperare terreni abbandonati o riconvertire agrumeti e vitigni ormai poco redditizi. In Sicilia questa trasformazione si vede a occhio nudo: via aranceti e limoneti, dentro i frutti tropicali.