“Rottamazione in banca”, la definisce un banchiere di lungo corso che ha vissuto da vicino la stagione delle privatizzazioni degli anni Novanta. “Rottamazione di tabù inveterati come la riforma delle Popolari” di cui si parla da vent’anni senza mai prendere il toro per le corna. “Rottamazione come la forte moral suasion sulle piccole banche di credito cooperativo”, messe nel mirino da Banca d’Italia che ne ha denunciato inefficienze e opacità gestionale, aprendo la porta alla stagione delle fusioni. E soprattutto “rottamazione come la costruzione di un veicolo a garanzia pubblica”, meglio conosciuto come bad bank, per alleggerire i bilanci degli istituti di credito dalla marea di sofferenze e liberare risorse per rilanciare l’economia reale, dopo averne negato l’urgenza, e l’esigenza, troppe volte in questa lunga crisi.
“In un paese come l’Italia dove la mole dei prestiti bancari è pari alla cifra mostre del 53% per cento del Pil (molto più di Francia e Germania) e rappresenta il 40% delle passività finanziarie complessive (gli Usa sono al 15% e la Francia al 23%), tutto si tiene”, continua il banchiere. Per questo senza tracciare il quadro precario del nostro sistema bancario si capirebbe poco di questa recessione infinita e soprattutto di questa rottamazione ormai necessaria, avviata dal governo Renzi ma sospinta ben più in alto dai tavoli che contano a Bruxelles e a Francoforte.