18 PENSIERI E CITAZIONI (ALLA RINFUSA) SUL CROLLO DEL PONTE MORANDI
- “Più che leggere, l’italiano preferisce parlare…” Non c’è come un grande evento tragico, dunque emotivo, per scatenare la psicosi collettiva e da bar sport su fatti che sono tremendamente complicati da maneggiare. Genova, appunto. E il vecchio Leo Longanesi ce lo ricorda un’altra volta.
- Penso che continuare a tenere secretate le convenzioni autostradali sia francamente inaccettabile. Anche dopo il “decreto Madia” sull’accesso ai dati della PA, l’Italia resta l’unico Paese democratico al mondo in cui questo tipo di atti non è pubblico, quindi non si può capire se l’aumento delle tariffe avviene in presenza di investimenti reali e verificati o sulla base di quelli annunciati.
- Per la precisione: qual è la legge che impone allo Stato di tenere segrete le convenzioni con cui assegna le concessioni autostradali? Nessuna: la segretezza è solo una prassi. Iniziata già ai tempi in cui gli accordi con i gestori li firmava l’Anas per conto dello Stato e gelosamente conservata quando l’ufficio competente è stato incorporato nel ministero delle Infrastrutture…
- Non lo scopriamo certo oggi ma “Il vero problema delle concessioni autostradali in Italia è la mancanza della competizione. Si tratta infatti di monopòli, di concessioni mai messe veramente in gara e offerte a condizioni non stringenti, talvolta migliorate a favore dei concessionari” (Francesco Ramella, docente di Trasporti all’Università di Torino). Nel 1999 quando si decise di privatizzare autostrade e subentrarono i Benetton “la necessità di far cassa subito per affrontare i problemi finanziari, portò lo Stato ad offrire ai concessionari un’alta redditività. Una situazione che pesa sulle tasche dei viaggiatori, che pagano due terzi degli elevati profitti delle società”.
- Mi fa sorridere chi in questi giorni identifica le privatizzazioni come responsabili delle inefficienze del sistema. In Italia più del 90% della rete stradale è gestita dal pubblico e solo la rete autostradale è data in concessione ai privati. Il problema dunque non sono le privatizzazioni ma il modo in cui le abbiamo fatte. Privatizzare un servizio, infatti, rende necessarie regole precise e verifiche continue affinché le regole vengano rispettate.
- Semplice “collusione” tra controllore e controllato? Temo ci sia un’altra possibile spiegazione, più preoccupante: se lo stato non facesse “regali” non attrarrebbe capitali privati in un settore strategico in cui non può permettersi di investire. Ad esempio: vogliamo parlare dello stato colabrodo in cui sono ridotte le strade provinciali in Italia? Bastasse la caccia al colpevole per risolvere i problemi saremmo a cavallo.
- “In Italia è difficile essere liberali. Perché è inaccettabile qualsiasi difesa di un privato monopolista con concessione illimitata (sempre prorogata) il cui contenuto è coperto da segreto di Stato. Con tariffe sempre in crescita ed il più alto ricavo per km d’Europa. In Italia si sono privatizzati i profitti, mantenendo pubbliche le perdite. E quando qualcosa va storto, come un crollo rovinoso, è molto più facile sostenere l’argomento “torniamo allo Stato, basta privatizzare” dei ministri dell’attuale governo che “mettere tutto a gara ogni 5 o 10 anni rendendo trasparenti i contratti”, un argomento, infatti, non sostenuto da alcun politico di rilievo né in maggioranza né all’opposizione. Ciò credo sia testimonianza del fatto che il capitalismo clientelare non possa essere considerato un gradino sotto al collettivismo, ciò come “un po’ meno peggio” della nazionalizzazione. Sono due facce della stessa medaglia: di uno Stato mal funzionante e corrotto. Due soluzioni che dovrebbero essere rigettate, allo stesso modo, da chi si considera liberale. Un passaggio dal monopolio pubblico a quello privato, senza concorrenza, è un danno irreparabile poiché offre l’argomento migliore a chi vuole le mani dello Stato nell’economia.” Lorenzo Castellani via Facebook da mandare a memoria.
- Penso che la comunicazione a caldo di Autostrade per l’Italia (Aspi) sui fatti di Genova, intrisa di numeri, coda di paglia e burocratese mentre la gente moriva sotto il ponte, sia stata davvero raggelante. E la toppa messa sabato dai vertici del gruppo in conferenza stampa da Genova sia peggio del buco…
- Di fronte a tragedie immani come il crollo del ponte Morandi di Genova, è normale che il sentimento popolare sia dolore, rabbia, ira persino. Un Governo non può ignorarlo, ma nemmeno dovrebbe nutrirlo di giustizia sommaria e azioni eclatanti. Invece ha subito avviato la procedura per la revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia. In un «Paese normale» i ponti non crollano. Ma in un «Paese normale» lo Stato, di cui far rispettare i contratti fra privati è una funzione non secondaria, non annuncia che romperà, unilateralmente, il contratto che lo lega a un concessionario privato. Soprattutto non lo fa mentre ancora non sono chiare le dinamiche dell’incidente (Natale D’Amico e Alberto Mingardi su Il Sole 24 Ore).
- Su Facebook e nelle conferenze stampa hanno gettato un titolo quotato in Borsa alla mercé della speculazione, provocato il crollo di Atlantia a Piazza Affari, sfiorando addirittura l’aggiotaggio. E non fa nulla se il 22% delle azioni di Atlantia è in mano ad azionisti italiani e tra questi molti cassettisti entrati all’epoca della privatizzazione. Della serie: il populismo finanziario del governo sui fatti di Genova penalizza anche i piccoli risparmiatori.
- Pensateci bene ogni volta che si parla di manutenzioni delle strade: i crolli nascono anche da appalti al massimo ribasso dati a ditte non qualificate, quando non infiltrate dalla criminalità (Maurizio Caprino via Twitter).
- “Quando sento qualcuno parlare di vincoli (europei, ndr) quando le strade si sbriciolano e i ponti crollano mi chiedo dove abbia vissuto. Non sono mai stati i soldi il problema di questo Paese, ma come li abbiamo spesi. E la conclusione è una sola. I soldi li abbiamo letteralmente buttati.” L’altro giorno via Twitter Johannes Buckler ha ricordato, con tanto di documenti, i risultati della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’attuazione degli interventi per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori della Basilicata e Campania colpiti dal terremoto del 1980. La commissione, presieduta da Oscar Luigi Scalfaro, correva l’anno 1991, concluderà che i 58.600 rotti miliardi di spese già effettuate (su 70mila stanziati), sono finiti nel nulla o sperperati, ivi quella parte proveniente dal fondo europeo per lo sviluppo regionale. Per questo tirare in ballo i vincoli europei come ha fatto Matteo Salvini è una pura fesseria.
- “Non ti conoscevo, ma ti penso e ti ripenso in quell’imbuto di cemento…” (Franco Arminio)
- Invece il linguaggio feroce di questi giorni mi fa rabbrividire. Linguaggio verbale e linguaggio del corpo. L’altro giorno Maria Fida Moro, la figlia dello statista Dc assassinato dalle Brigate Rosse ha postato una foto di suo padre in spiaggia in giacca e cravatta “perché rappresento lo stato.” Oggi quella foto appare certamente bacchettona perché non c’è bisogno che un ministro o un uomo di stato faccia la sauna sotto il sole d’agosto però forse i selfie ai funerali di stato anche no…
- E sempre individuano i colpevoli da impiccare al ramo più alto, o in questo caso al pilone, tra quelli che non sono crollati nella tragedia del ponte Morandi, come se non gli interessasse la risoluzione dei problemi e la comprensione dei fenomeni, ma solo un principio tutto lirico e teatrale, una reattività che simula l’efficienza, la trasformazione di uno stato di diritto – che ha tempi, regole, codici, responsabilità – in uno stato della percezione emotiva e della decisione muscolare (Salvatore Merlo sul Foglio).
- Il problema è che questo clima si è ormai diffuso e sta contagiando tutti. Ancora Lorenzo Castellani, via Facebook: “Ci sono gruppetti sui social di sedicenti competenti (in genere accademici, professionisti, gente della finanza ecc) che si avventurano nell’oscuro terreno della politica con un comportamento speculare a quello dell’elettore populista. Sono aggressivi, ossessionati (il default, la troika, i populisti cattivi, il fascismo!!!), proni oramai ad un linguaggio da bar (il termine goebbelsiano è dare del “cialtrone”, dell’ignorante e dello “incompetente” a chiunque), si muovono in gruppo contro precisi obiettivi (politici, giornalisti ecc), rifiutano opinioni non sovrapposte con la loro ortodossia, procedono per sarcasmo saccente, scivolano sulle fake news come tutti, commentano i titoli più che i contenuti degli articoli. E, aggravante, sono inconsapevoli: cioè pensano di non essere come gli altri, di non essere immersi mani, testa e piedi nel frullatore social, di non venire condizionati dal mezzo e non cedere agli umori e all’isteria.”
- In questi giorni mi fanno cadere le braccia un po’ tutti i partiti sulla ribalta perché nessuno, in fondo, risulta immacolato o avrebbe i titoli per parlare. Fa ridere il Pd che denuncia il giustizialismo di questo governo dopo che per anni ha avvallato nel suo recinto politico-culturale il clima del sospetto e giacobinismi facili. Fa ridere la Lega che era al governo del paese quando c’è stata la concessione ad Autostrade per l’Italia ed è il partito che ha più governato (in coalizione) in Liguria negli ultimi 12 anni. Fanno ridere i Cinque Stelle che da sempre si battono contro qualsiasi nuova infrastruttura (Gronda di Ponente compresa) all’insegna del metodo Nimby.
- Venerdì l’Economist ha pubblicato un pezzo molto interessante (questo) partendo dal crollo di Genova. Hanno sentito alcuni esperti sulla velocità con cui si stanno deteriorando i ponti in cemento armato nel mondo. Molte di queste infrastrutture sono state costruite tra gli anni ‘50 e ‘70 e dovrebbero durare più di 100 anni. In realtà alcuni ingegneri cominciano a credere che possano durare molto di meno, come dimostra la tragedia del Morandi. Ecco, da noi questa riflessione ingegneristica manca del tutto. Forse è fisiologico perché Genova non è Oltremanica ma ci si aspetterebbe anche un po’ di razionalità nel dibattito pubblico di un paese la cui modernità è ferma agli anni Sessanta, proprio per cercare di evitare che tragedie del genere possano ripetersi.