Nella stagione del Covid e del lavoro a distanza, un incontro a Cefalù diventa l’occasione per riscoprire la storia economico-familiare della cittadina siciliana. Con la prospettiva che «si può farcela. Anche qui». Soprattutto se dal balcone si vede il mare.
Mio padre è quello a sinistra con gli occhiali neri modello sole a mezzanotte. Il papà di Giampiero, di profilo, quello con i fogli in mano davanti al microfono. Poi ci sono Franco Pizzillo che indossa una toga da prof universitario; Totò Di Paola che finirà a lavorare ad Ivrea nell’ufficio del personale Olivetti; l’ingegner Ninetto Messina, sempre stato mingherlino; Totò Cassata, futuro magistrato antimafia; e mezza tagliata la sagoma di Pasquale Culotta, in panciotto e papillon.
Guardo la foto, che mi gira Giampiero via WhatsApp, e ritrovo le espressioni giovanili di molti amici di mio padre che conoscerò anni dopo tra cene, bagni al mare, serate in campagna. I banchi di legno, montati su un camioncino davanti al vecchio municipio di Cefalù, servono ad inscenare il processo alla matricola, una cerimonia in voga tra gli universitari dell’epoca. Correva l’anno 1961.

Antefatto
«Ciao, sono Marco, il papà di Fiamma e Tito. Noi stiamo andando a fare i tuffi alla marina, se volete Teresa può venire con noi…». «Piacere, io sono Silvia. E io sono Giampiero. No, dai, veniamo anche noi, facciamo una passeggiata», si premura Silvia. Non che avessero tutta ‘sta voglia di camminare sotto la calura ma non volevano lasciare la propria figlia, che rognava per andarci, al papà di una bambina conosciuta il giorno prima in spiaggia, compagna improvvisa di giochi come spesso succede al mare. Avrei fatto anch’io lo stesso.