La Lega del telepredicatore

Nel declino mesto di Via Bellerio, nella dismissione dei vecchi simboli e nella rottamazione del nordismo per una Lega diventata “nazionale” (la dittatura di Bruxelles al posto di Roma ladrona), si specchia anche il fallimento di un intero blocco sociale, e di una classe dirigente diffusa, che non ha saputo sfruttare la finestra mediatica e politica “padana”, dopo averla sostenuta o bordeggiata, per riformare e riformarsi. Un modello padano (l’impresa diffusa di piccola dimensione) che non sempre è stato in grado di cambiare pelle in questi anni di crisi e di cambio di paradigma, ma non ha indugiato a seppellire con il bossismo anche la Questione settentrionale (tasse, burocrazia, federalismo). Dalla sera alla mattina come si smette un abito e lo si porta in tintoria, senza un funerale. Celebrarlo avrebbe comportato un minimo di esame di coscienza, un bilancio, un guardarsi allo specchio…

Nemmeno le infermiere romene ci fanno più caso. Passano via svelte verso l’ospedale Niguarda, testa bassa, mescolate a qualche professionista in scarpette da running che punta il vicino parco Nord per una sgambettata salutista. Una volta chi faceva la posta al Senatur girava l’angolo sullo stradone che porta alla tangenziale e finiva per trovarci qualche militante che scattava foto in una sorta di pellegrinaggio laico, o semplicemente qualche curioso che sostava davanti alla mitica sede della Lega. Oggi la grande scritta “Lega Nord Padania” sul muro di cinta sembra invece il rudere di un’altra stagione. L’alfabeto consumato di un mondo di ieri.

Per quasi vent’anni Via Bellerio è stata il crocevia della politica italiana. Per le decisioni che si prendevano in quella palazzina anonima di periferia milanese e molto più spesso per quelle semplicemente minacciate; per la sfilata di auto blu che vi entravano e uscivano; per i “federali” infiniti; per i manager di area chiamati a rapporto (non di rado con la coda tra le gambe); per i ministri e politici più o meno alleati che vi transitavano; e per i giornalisti che vi bivaccavano a orari improbabili (in attesa di una parola che desse il titolo alla giornata politica).

Via Bellerio è stato il tinello perfetto (“tinello” in senso letterale) del più classico gioco del gatto col topo in cui Umberto Bossi eccelleva. E tutti, amici e avversari, erano costretti a rincorrere perché quella Lega, mai capita fino in fondo dai giornali e dai partiti della Seconda Repubblica, sprizzava egemonia politica e psicologica, furbizia, dissimulazione, teatralità e capacità di manovra come pochi altri. Forse i suoi voti si contavano un po’ meno di oggi ma eccome se pesavano…

Per questo il buco nero (anche mediatico) in cui è finita Via Bellerio, oggi che nessuno sembra più filarsela, la chiusura del giornale La Padania, il ridimensionamento della omonima radio (forse la prossima vendita delle frequenze, sussurra qualcuno) e i recenti dissidi tra l’anima governativa maroniana (in minoranza) e quella movimentista salviniana, agli occhi di chi la Lega l’ha seguita per anni assumono un significato definitivo.

Anche simbolicamente questo di Matteo Salvini è davvero un partito distante anni luce da quello bossiano del nordismo egemone. Per un paio di premesse e una rottamazione davvero paradossale.

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